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Il birocciaio

Il birocciaio risultava tra tutti i mestieri della campagna quello più complesso e più qualificato. Esso concentrava spesso in un'unica persona la perizia del falegname con la capacità del fabbro e la creatività del pittore decoratore.
Il mestiere si trasmetteva dal padre al figlio e quindi la componente maschile dell'intera famiglia partecipava alla fabbricazione dei birocci, l'apporto del lavoro femminile, pur non essendo rigidamente escluso, era limitato a ruoli marginali.
Nel Montefeltro risulta, da testimonianze orali raccolte da Giorgio Pedrocco nel 1981, che operava a Caprazzino (Sassocorvaro) una famiglia di birocciai i Cesarotti-Fontana, depositari sin dal Settecento di questa attività quando un Fontana si trasferì da Borgo San Sepolcro a Caprazzino. Essi costruivano birocci anche per alcune zone della val Metauro e della val Conca e i loro carri si distinguevano dagli altri per la loro caratteristica coloritura bianco-azzurra.
Nel laboratorio dei Cesarotti-Fontana timone, ruote, fiancate e tavola anteriore e posteriore venivano dipinte con un fondo comune blu-oltremare; successivamente su ruote, timoni e montanti delle fiancate con piccoli stampi si ripetevano motivi decorativi floreali o geometrici. Sulla tavola anteriore si dipingeva un uccello del paradiso, una sorta di marchio di fabbrica, mentre sulla tavola posteriore trovava spazio la devozione popolare verso Sant'Antonio, il protettore degli animali. Infine nei riquadri laterali prevalevano scene e paesaggi campestri, unitamente all'indicazione del costruttore, del proprietario e della data di realizzazione del carro.
Il laboratorio del birocciaio riuniva spesso in un unico ambiente, il banco, il tornio e gli altri utensili da falegname insieme alla forgia, l'incudine e la mazza, strumenti propri del fabbro.
Le diverse essenze di legname, dopo una adeguata stagionatura, erano sapientemente distribuite nelle varie parti del carro. La quercia, stagionata da più anni, serviva per i raggi e per il mozzo della ruota, il noce per l'asse e per i gavoli, l'olmo per le parti soggette a minore pressione come la cassa e il timone, l'abete per i fianchi...
La fase centrale della lavorazione era la fabbricazione delle ruote, le parti in legno, mozzo, raggi e gavoli, richiedevano un accurato lavoro di intaglio e di tornitura che iniziava già nei mesi invernali, mentre la connessione dell'insieme di queste parti con il cerchione di ferro portato all'incandescenza rappresentava il momento della lavorazione di maggior drammaticità: il cerchione di ferro munito lateralmente di sei fori, era portato al calor rosso nella fornacella e veniva poi trasferito da tre persone a mezzo di spine sull'esterno dove si adattava alla ruota in legno. Immediatamente si gettava dell'acqua che raffreddando il cerchione ne determinava la contrazione e quindi la solidale connessione del cerchione con i gavoli. Questo lavoro si poteva realizzare solo nei mesi di luglio e agosto perché grazie all'alta temperatura si riusciva a mantenere il cerchione al calor rosso per tutto il tempo necessario all'operazione.
Gli altri elementi importanti del biroccio, l'assale, il timone, il subbio posteriore, il rogoletto, venivano realizzati a mano operando sempre con la medesima sequenza di attrezzi: prima si sgrossava il pezzo di legno con la scure, la scorcina e poi con la pialla e i pialletti si arrivava alla conformazione definitiva.
Costruita infine la cassa e realizzato il sistema di frenatura, la cosidetta meccanica, si procedeva alla decorazione del biroccio.