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Aratura e semina

La rivoluzione agricola (8.000-4.000 a. C.)
Nella preistoria la caccia, la pesca e la raccolta dei prodotti naturali avevano costituito le basi materiali di ogni civiltà nomade. Per sopravvivere gli uomini dovevano continuamente spostarsi alla ricerca di nuove risorse animali e vegetali.
Il difficile equilibrio tra risorse e consumi cominciò a rompersi attorno all'8000 a. C. quando l'aumento della temperatura terrestre limitò l'habitat di molte specie animali, dalle renne ai mammouth, che erano alla base della loro sussistenza.
La civiltà nomade per sopravvivere fu costretta a scoprire l'agricoltura, l'uomo penetrò i segreti della coltivazione intuendo gli stretti rapporti tra il seme e la pianta e nel contempo capì i cicli stagionali del mondo vegetale ed animale. A questo punto la raccolta dei cereali selvatici, orzo e grano, si trasformò in coltivazione e la caccia divenne allevamento ed addomesticamento degli animali.
Era avvenuta la rivoluzione agricola. Il modo di vivere della società umana subì una radicale trasformazione a cominciare dagli attrezzi da lavoro.
Il primo strumento impiegato nei lavori dei campi fu il bastone da scavo, noto anche alla civiltà nomade; quando venne compreso il concetto di semina, lo stesso bastone venne usato per scavare il terreno e seminare il grano.
Ben presto fece però la sua apparizione un utensile più funzionale la zappa, che consentiva di lavorare meglio la terra per la semina meglio, ma richiedeva ancora molta fatica ai coltivatori.
Parallelamente gli animali, già allevati per scopi alimentari vennero addestrati, grazie a stanghe, timoni e bardature, a fornire una forza motrice, diversa e più potente di quella umana, che rese più facile la scoperta di un nuovo strumento l'aratro, da molti considerato un perfezionamento della zappa. L'aratro, trainato dai buoi o dai cavalli, lavorava la terra più in profondità e più rapidamente della zappa e migliorava il rendimento delle coltivazioni.

Iconografia. Lotto: tiro di buoi
Iconografia. Lotto: tiro di buoi
Iconografia. Jacobello: Storie di Santa Lucia
Iconografia. Jacobello: Storie di Santa Lucia

Aratura e semina furono due operazioni completamente nuove che al pari dell'addomesticamento e dell'allevamento degli animali costrinsero le civiltà nomadi a fermarsi, ad insediarsi e a mutare radicalmente la propria organizzazione economica e sociale.
L'area iniziale della rivoluzione agricola andava dall'Egitto al mar Caspio. In quest'area si sono sviluppate le più importanti civiltà antiche dagli Assiro-Babilonesi agli Egizi per poi allargarsi a ovest attraverso il Mediterraneo ai Greci ed ai Romani e ad est all'India e agli altri paesi asiatici.
Nei secoli successivi con l'espansione della dominazione romana la coltivazione del grano e la viticoltura divennero i pilastri dell'economia europea.

Le innovazioni medievali (sec. X-XII).
La caduta dell'Impero Romano, determinata dalle invasioni barbariche ha rappresentato una sorta di rivincita delle civiltà nomadi sulle civiltà stanziali ed è stata accompagnata da una grande crisi dell'economia agricola.
La ripresa della civiltà europea a partire dal Mille non poteva che passare attraverso l'agricoltura sia recuperando il terreno perduto sia innovando le tecniche di aratura. All'aratro venne aggiunto un versoio che consentiva non solo di rompere ma anche di rovesciare la zolla. Il perticaro, un aratro diffuso in tutta l'area appenninica, è una testimonianza di questa trasformazione. L'impiego della forza motrice animale venne migliorato con l'adozione per il traino del collare di spalla che disturbava meno lo sforzo degli animali.

La modernizzazione contemporanea (sec. XVIII-XX).
La tradizionale aratura è sopravvissuta nell'agricoltura appenninica sino al secondo dopoguerra, perché pochi contadini e proprietari furono in grado di provvedersi dei trattori e hanno continuato a servirsi dei buoi per trainare i tradizionali aratri o i più recenti, ma più pesanti, aratri in ferro.
Per evitare il notevole spreco, che la semina a spaglio comportava, vennero realizzate già nel XVIII secolo delle macchine seminatrici. che, spargevano ordinatamente, regolarmente ed in minor tempo la semente.
Per la loro semplicità di fabbricazione, esse apparvero nell'agricoltura appenninica già nel corso del XIX secolo, grazie all'ingegnosità costruttiva di molti artigiani locali.
Tra Otto e Novecento concimazione e semina cambiarono radicalmente: al letame naturale si affiancarono i fertilizzanti chimici, che correggevano la composizione del terreno e ne favorivano la fertilità, ma a causa del costo elevato ebbero sino al secondo dopoguerra una scarsa diffusione.
Ultimata la semina il terreno lavorato veniva livellato trascinandovi sopra, spesso con l'aiuto dei buoi, l'erpice, uno strumento, documentato a partire dal Medioevo, inizialmente costituito da un semplice bastone o da un intreccio di rami, ma successivamente dotato di denti di ferro inseriti in un telaio di legno.
Dopo l'erpicatura veniva lasciata sul terreno una croce che aveva un significato propiziatorio ed augurale per la buona riuscita del raccolto.
Alla fine dell'Ottocento l'introduzione di un nuovo strumento, l'estirpatore, e la presenza dell'erpice in ferro, il centoferri, hanno modificato la successione delle operazioni tra l'aratura e la semina. Lo sgretolamento delle zolle e la pulizia dalle erbe infestanti, per la preparazione di un buon letto di semina, vennero realizzati grazie ai denti ricurvi, simili all'estremità di un piccolo vomere, dell'estirpatore.
Le macchine seminatrici lavoravano così molto più agevolmente lasciando poi il campo per l'erpicatura e più recentemente anche per la rullatura del terreno.

Mietitura e trebbiatura

A differenza di aratura e semina, mietitura e trebbiatura erano operazioni non del tutto sconosciute nelle civiltà nomadi, in quanto la raccolta dei prodotti naturali era una pratica normale e diffusa in quelle civiltà.

Strumenti per mietere e trebbiare
La strumentazione per la mietitura era costituita all'inizio da un trincetto-falciuolo di selce che separava la spiga dalla paglia, poi da una falce in legno o in terracotta dotata di denti di selce. Con la scoperta dei metalli, i materiali litici e lignei vennero accantonati, e con la falce metallica che mantenne il taglio dentato aumentarono la capacità di lavoro e la maneggevolezza.
La mietitura ha sempre rappresentato il momento più critico del ciclo del grano: in tempi brevi si doveva procedere al taglio di una gran quantità di piante mobilitando molti lavoratori per portare a termine in pochi giorni tutto il lavoro.
Per mietere si afferrava con la mano sinistra una manciata di spighe e si tagliavano con la falce gli steli a mezza altezza e con la falce, impugnata nella mano destra. Questo gesto elementare si è tramandato per millenni ed è testimoniato da una sterminata documentazione iconografica dall'antichità ad oggi.
Si legavano quasi subito i covoni o direttamente a mano o con l'aiuto dei semplici legatori; dopo una breve sosta sul campo i covoni venivano caricati su un biroccio o su una treggia e trasportati sull'aia della casa contadina per la trebbiatura. Finita la mietitura arrivavano le spigolatrici, depositarie del grano rimasto sui campi. Tale diritto era ancora operante nel secolo scorso a favore delle famiglie dei braccianti, i casanolanti.
Anche la successiva trebbiatura era un'operazione che coinvolgeva molto gli agricoltori che impiegavano degli arnesi rudimentali: innanzi tutto il correggiato un bastone snodato con cui gli operai a squadre si fronteggiavano e trebbiavano ritmicamente il grano. Ugualmente utili in quest'operazione erano i bastoni, le pietre, le tavole...
Ma già nell'antichità per trebbiare delle grandi quantità di grano si dovette far ricorso, così come per l'aratura, alla forza motrice animale. Sui covoni ammucchiati nell'aia venivano fatti girare un gran numero di animali e il calpestio dei loro zoccoli faceva uscire i chicchi dalle spighe, oppure una coppia di buoi trascinava sopra le spighe sparse circolarmente nell'aia una pietra di grandi dimensioni percorsa da scanalature nella faccia inferiore, oppure una pesante tavola di legno, costruita di grosse assi e munita nella parte inferiore di guide di ferro dentate e sporgenti.

Macchine per mietere e per trebbiare
Il superamento di questi metodi tradizionali di mietitura e di trebbiatura cominciò a delinearsi tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo quando lo sviluppo capitalistico dell'agricoltura inglese e la colonizzazione delle praterie statunitensi favorirono la diffusione nelle campagne di macchine per mietere, per falciare e per trebbiare. Esse erano dotate di meccanismi che sostituivano la sperimentata manualità dell'agricoltore, mentre la macchina a vapore forniva la potenza necessaria a metterle in movimento quando la forza motrice animale non era sufficiente. I risultati furono molteplici: aumento della produttività del lavoro, miglioramento della qualità del grano, maggior controllo dei proprietari sul processo produttivo.

Mentre le macchine per mietere e per falciare si diffusero in Italia molto lentamente, la trebbiatura a vapore ebbe una larga diffusione già a metà del XIX secolo perché grazie ai suoi tempi brevi evitava furti ed incendi dei raccolti.
Il lavoro contadino di trebbiatura ora veniva svolto dalla macchina per trebbiare che con propri meccanismi, i cilindri dentati, era in grado di sostituirlo. La macchina poteva essere mossa a mano, ma spesso era azionata da una macchina a vapore, la locomobile, che con la sua dimensione squisitamente industriale rompeva per la prima volta gli antichi equilibri del mondo rurale.

La meccanizzazione della trebbiatura rimase l'unica innovazione tecnologica di rilievo in tutta l'area mezzadrile dell'Italia centrale nel corso dell'Ottocento, essa non divenne però l'occasione per un progressivo cambiamento ed ammodernamento di strutture produttive e di rapporti contrattuali, ma rimase semplicemente uno strumento per un più rigido controllo da parte proprietaria della ripartizione del grano raccolto.

Grano e mezzadria

Nel contratto di mezzadria il proprietario dei terreni e il capo di una o più famiglie contadine, il colono, si associavano per coltivare un podere. Il proprietario metteva a disposizione la terra, la casa, parte del bestiame da lavoro e delle sementi, il colono assicurava la buona riuscita delle coltivazioni grazie all'apporto del proprio lavoro e di quello di tutti i suoi famigliari, nonché di una quota di bestiame e di sementi. Il grano e gli altri prodotti venivano divisi a metà tra i due contraenti.
I primi contratti mezzadrili furono stipulati già alla fine del Medioevo ed avviarono un processo di appoderamento dei territori agrari dell'Italia centro settentrionale conclusosi solo all'inizio del Novecento. Nel corso dei secoli i rapporti contrattuali si spostarono sempre più a vantaggio del proprietario: il colono pagava la collara sull'uso del bestiame padronale, doveva provvedere alle sementi in maggior misura, le regalìe natalizie e pasquali in uova e pollame diventarono un obbligo sempre più gravoso, mentre le opere di miglioria del podere divennero un lavoro gratuito.
I rigidi rapporti che regolavano le relazioni tra proprietari e coloni si allargavano anche alla famiglia mezzadrile. Al vertice c'era l'anziano capofamiglia che a nome di tutti trattava col proprietario, dirigeva l'andamento della colonìa, vendeva i prodotti, acquistava gli attrezzi, decideva sulla distribuzione dei beni famigliari.
Alla fine dell'Ottocento le famiglie mezzadrili vivevano in condizioni di grande povertà ed erano in uno stato di totale soggezione alla volontà dei proprietari.
Ma all'inizio del Novecento le prime leghe mezzadrili di ispirazione socialista e cattolica cercarono di cambiare le cose: scioperi, manifestazioni, vertenze modificarono per la prima volta i rapporti tra coloni e proprietari. Col fascismo, che raccolse ampi consensi tra i proprietari terrieri, le aspirazioni dei mezzadri a migliorare le proprie condizioni di vita vennero compresse pesantemente per un "ventennio".
La situazione esplose nel secondo dopoguerra quando le lotte rivendicative dei mezzadri assunsero momenti di particolare asprezza. Questo duro scontro sociale tra mezzadri e proprietari si attenuò solo grazie alla ripresa dell'emigrazione verso le città in Italia e all'estero.
Nel frattempo il crollo del prezzo del grano con l'entrata dell'Italia nel Mercato Comune Europeo determinò una pesante crisi agricola. Ne seguì un massiccio esodo dalle campagne che dissolse il contratto di mezzadria mentre col parallelo crollo dei prezzi dei terreni agricoli scomparvero dalla scena sociale i proprietari terrieri, e chi restò sulla terra divenne proprietario.

I mulini da cereali

La macinazione del grano ha subito nel corso dei millenni radicali trasformazioni.
Agli inizi, con l'avvio della rivoluzione agricola, la macinazione veniva svolta direttamente dai contadini con macine a mano che perfezionarono i rudimentali sistemi di sfregamento gi… in uso nelle civiltà nomadi. La macinazione a mano si mantenne anche durante il periodo di maggior splendore delle civiltà antiche perché‚ la presenza di una grande massa di schiavi consentiva di utilizzare senza risparmio il lavoro manuale.
Solo con la rarefazione della schiavitù in età medievale si pose il problema del risparmio di lavoro nella macinazione dei cereali, perché‚ il lavoro disponibile si era rarefatto.
In quest'occasione la macinazione dei cereali venne separata dall'agricoltura per essere affidata ad un comparto a sè, allora artigianale, i mulini ad acqua ed oggi industriale, i mulini a cilindri.
I mulini ad acqua, già concettualmente noti alla cultura scientifica dei Greci e dei Romani, conobbero una capillare diffusione in tutta l'Europa occidentale. Essi da un lato alleviarono le fatiche dei contadini, ma dall'altro consentirono al signore feudale di controllare le quantità di produzioni di cereali per poter imporre tributi ai propri sudditi.
A seconda della disponibilità d'acqua e della morfologia del terreno si diffusero due tipi di mulini quelli a ruota orizzontale e quelli a ruota verticale, solo in siti particolari dove il clima e i luoghi assicuravano venti costanti, in particolare sulla costa atlantica, si diffusero i mulini a vento.
La ricchezza d'acqua del Metauro del Foglia e dei loro affluenti favorì sin dal medioevo l'installazione di mulini da cereali nel Montefeltro. Essi disponevano di ruote orizzontali, il ritrecine, direttamente collegate tramite una barra di ferro, lo spadone, all'apparato molitorio. L'energia necessaria al loro funzionamento derivava dall'acqua dei fiumi, raccolta tramite dei canali in piccoli serbatoi, i bottacci. Da qui con piccole condotte forzate regolate da una saracinesca l'acqua azionava la ruota.