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Erpice

La presente scheda è tratta dal volume: Giovanni Lucerna, Valeria M. Miniati, Giorgio Pedrocco, -Uomini e campagne tra il Montefeltro e il mare-, Metauro Edizioni, Fossombrone, 2004. All’interno del volume fotografie di Paul Scheuermeier (AIS) e Ugo Pellis (ALI). L'erpice dell'immagine è conservato presso il Museo di Storia dell'Agricoltura e dell'Artigianato di Urbania.

L’erpice, l’érpić, era costituito da un telaio di legno robusto, generalmente di quercia, a forma trapezoidale, composto da due o tre assi trasversali (nota 1-di solito nei poderi di montagna erano utilizzati erpici più leggeri a due file di lame, mentre nei poderi di pianura l’erpice diventava strutturalmente più pesante e le file di lame diventavano tre; un esempio di erpice a tre file è esposto nel Museo di Storia dell’Agricoltura e dell’Artigianato di Urbania-), dove erano alloggiate le lame operatrici e da quattro assi longitudinali necessari al collegamento e alla tenuta delle varie parti. Dal prolungamento dei due assi longitudinali centrali erano ricavate le stegole che servivano a manovrarlo. Accanto a questo strumento coesistevano nei poderi del territorio provinciale altri tipi di erpice più primitivi, questi potevano essere provvisti di denti di legno (nota 2 - S. Agata Feltria, foto n. 968-), chiamati korni ad Urbania (nota 3 - Pietro Dini, di Urbania, classe 1923, racconta che anche nei poderi della val Metauro era presente questo erpice di legno chiamato localmente rastlón, realizzato con una bure, una sola traversa, e con korni di legno; questo coesisteva con l’erpice con i denti di ferro, ma veniva impiegato, come spesso succede agli strumenti tecnologicamente più arretrati, per lavori minori, come raccogliere il fieno dopo il taglio, oppure per realizzare con i suoi korni i solchettini necessari per seminare il mais o il tabacco -), o addirittura non averne affatto, come documentato nelle foto scattate a Fano da Scheuermeier (n. 1862), dove si vede uno strascìn mentre spiana la terra (e in questo caso la taglia anche, perché è abbinato ad un “moderno” erpice). Lo strascìn era costituito da una bure, bùra, da un trave disposto trasversalmente, la tràversa, nella quale erano applicate le stegole di legno (non sempre presenti in questo tipo di attrezzo). L’erpice sminuzzava la terra, la livellava e copriva i semi dopo la semina. Veniva attaccato ai buoi tramite la bure o con catene; “[…] l’erpice [era ] il primo necessario complemento […] dell’aratro […] [svolgeva] essenzialmente il lavoro del rastrello e della zappetta, mediate i denti o lame di cui [era] fornito […] [serviva] anche a far sparire gli spazi vuoti interposti tra le zolle del terreno che [ostacolavano] la germinazione dei semi.” (nota 4 - Cfr. Lidia Davanzali, L’attrezzatura da lavoro della mezzadria, in, AA.VV, Nelle Marche Centrali, Territorio . economia, società tra Medioevo e Novecento (a cura di Sergio Anselmi), Cassa di Risparmio di Jesi, 1979, Vol II, p.1502 -). Era costruito e riparato direttamente dal contadino; nell’immagine sono evidenti i segni dell’uso presenti nell’erpice, soprattutto nel logoramento del telaio a cui si rimediava con dei rinforzi di filo di ferro. L’erpice fotografato da Scheuermeier è del tipo più arcaico, senza le lame di ferro, ma con i pioli di legno infissi nelle travi di sostegno e fissati con zeppe. Nella didascalia della foto 968, realizzata al podere della Badia di S. Agata Feltria, Scheuermeier accenna ad un preesistente erpice costruito in ferro, sostituito da sei anni con quest’erpice in legno, precisando che in passato i “vecchi” contadini non si servivano per l’erpicatura di uno strumento particolare ma bensì “adoperavano solo l’aratro e la zappa”. Probabilmente la famiglia contadina, per motivi economici, non aveva acquistato dal fabbro ferraio del paese le parti metalliche dell’erpice, ritenendo che anche uno in legno potesse assolvere adeguatamente ai lavori di spianatura e sminuzzamento del terreno dopo le semine. Il termine stirpatój con cui erroneamente l’informatore Sante Poggioli, che per decenni aveva fatto il minatore, chiama l’erpice è dovuto alla sua probabile scarsa familiarità con questi particolari strumenti, oppure alla commistione di termini ingenerata dalla comparsa recente (anche se rara) degli estirpatori di ferro in agricoltura. Infatti l’estirpatore, costituito non da lame ma da piccoli vomeri, in quegli anni era appena apparso nella provincia di Pesaro e Urbino assieme ad altri strumenti di ferro (aratri, erpici completamente metallici, seminatrici…) ed aveva compiti simili e complementari a quelli dell’erpice, ma che ancora oggi capita di sentire confusi tra loro.