Musei e raccolte demoantropologiche.
L'esperienza delle raccolte demoantropologiche spontanee è diffusa un po' dappertutto nel nostro paese perché l'inerzia plurisecolare degli strumenti di lavoro e degli oggetti d'uso ha permesso che questi materiali si siano incontrati con i primi sforzi conservativi delle raccolte della cultura materiale e lì abbiano sedimentato anche alcune informazioni.
Oggi queste raccolte richiedono come sta succedendo per l'alta val Metauro un intervento di valorizzazione che vuol dire soprattutto schedatura dei materiali (vedi sezione 2) e uno sforzo di organizzazione e contestualizzazione (vedi sezioni 3,4,5) interventi di valorizzazione e di comprensione. Infatti il naturale sbocco di ricerche contestuali come quelle precedente trattate sta nei progetti di riorganizzazione scientifica delle raccolte spontanee.
In questa direzione non ci sono soluzioni precostituite e l'esperienza di una determinata iniziativa non può assolutamente essere generalizzata, ad esempio le scelte prioritarie per il nuovo allestimento del Museo di storia dell'agricoltura di Urbania non possono essere meccanicamente trasferite per riorganizzare altre raccolte, ma devono essere individuati degli elementi che connotano fortemente e impostano i criteri di allestimento della raccolta.
Ad esempio nell'allestimento del Museo della Storia dell'agricoltura di Urbania abbiamo accantonato le tecniche ricostruttive di ambienti e di cicli per proporre un particolare percorso, quello dello strumento guida. In questo caso sono stati individuati alcuni strumenti ritenuti emblematici e significativi per rappresentare il ciclo del grano realizzando un percorso particolare che intreccia tecnologie, società e storie.
Nell'ambito del discorso sulla riproducibilità si tratta di una suggestione metodologica che può essere adottata come criterio di intervento e non come mera riproposizione. Si tratta cioè di individuare la strada migliore che consenta di fruire sinteticamente dei materiali della raccolta e delle informazioni sistemate nelle schede e negli stimoli che vengono dal territorio.
Nel caso di Urbania ad esempio la scelta di privilegiare la storia dell'agricoltura deriva dalle molteplici esperienze didattiche dove è evidente la necessità di allargare il discorso dal particolare al generale
Le schede
Il lavoro di schedatura già iniziato ad Urbania ancor prima del decollo del progetto Musei Partecipati utilizzando la scheda elaborata dall'Istituto dei Beni Culturali della Regione Emilia Romagna, è proseguito in questa seconda fase con lo studio delle attrezzature di lavoro e degli oggetti d'uso utilizzando la scheda SIRPAC (con 248 campi) fornita dal Centro Beni Culturali della Regione Marche.
Per le necessità operative del gruppo di lavoro è stata messa a punto una scheda di rilevazione informatizzata a 68 voci (campi) derivata e compatibile con la scheda SIRPAC. Essa consente di lavorare agevolmente sul campo per raccogliere in modo sistematico e puntuale e direttamente sul computer portatile, saltando la compilazione manuale del cartaceo. In fine essa offre il vantaggio di poter interloquire più agevolmente con gli informatori grazie ai suggerimenti argomentativi provenienti dai campi. Inoltre il supporto informatico permette una rapida trasmissione, ovunque arrivi la rete Internet, delle informazioni raccolte.
Nel caso della schedatura è evidente che il modello operativo riproducibile e trasferibile faccia riferimento ad un'unica scheda di indagine, in questo caso la scheda SIRPAC.
Essa deve fare riferimento ad una stessa scelta di voci, perché diventa importantissima in questa fase la comparazione degli strumenti o delle funzioni in moda da far procedere la ricerca storica e demoantropologica.
Nell'ambito del progetto "Una rete di strumenti schede e immagini" sono state compilate 120 schede analitiche, dove i campi esaminati sono stati ridotti per collocare le informazioni in alcune voci essenziali ma articolate (vedi scheda). Lo scopo di questo intervento del gruppo di lavoro è stato quello da un lato di poter meglio archiviare le informazioni che si stavano raccogliendo e dall'altro lato di rendere più accessibile la lettura della scheda.
Questa particolare tipologia di scheda standard elaborata dal gruppo di lavoro ha costituito una sorta di griglia di base per continuare a raccogliere informazioni sull'essenza degli oggetti e degli strumenti grazie anche alla grande ricchezza di notizie fornite dalle testimonianze orali. Ma nel contempo si è proceduto ad una normalizzazione nella stesura della scheda applicando dei criteri di uniformità per consentire comparazioni per dimensioni, funzione, modalità di fabbricazione ed uso... per attrezzi simili, per aree omogenee, per aree diverse. Questa particolare tipologia di scheda standard rappresenta anche la base indispensabile per sviluppare indagini e comparazioni omogenee in progetti paralleli relativi ad altre aree storiche.
Analisi dei lavori e degli strumenti nella rappresentazione iconografica
Per lavorare su un progetto riproducibile che permetta di valorizzare le risorse/beni della cultura materiale di un determinato territorio e per dargli un respiro ed uno spessore maggiore che vada oltre il bene in sé occorre fare riferimento a tutte le implicazioni e a tutti i contesti che legano queste risorse/beni all'insieme della documentazione storica.
Se i documenti scritti (atti notarili, archivi familiari, documenti ufficiali...) possono attestare della loro presenza in determinate aree le documentazioni iconografiche prima e fotografiche poi consentono di individuarne oltre alla presenza anche la forma e a volte l'uso .
Nel realizzare questo progetto abbiamo preso in considerazione anche le fonti iconografiche, consapevoli della difficoltà della loro contestualizzazione e dell'incerto terreno di incontro tra i beni della cultura materiale e i documenti storico-pittorici . Questi segni pittorici, queste piccole tracce sono delle istantanee, dei flash del lavoro e della quotidianità che ricorrendo spesso nell'iconografia rappresentano qualcosa di più di quelle labili fonti che sembrano apparire.
Nel valutare il contributo che le fonti pittoriche possono dare alla storia della cultura materiale va anche preso in considerazione l'enorme patrimonio di informazioni che arriva dalla diffusa produzione artistica legata sia alle manifestazioni ed allo splendore del culto religioso. Questo percorso di ricerca si muove dentro questo enorme patrimonio storico-artistico che costituisce anche un enorme ed oggettivo serbatoio di informazioni.
Come la scheda nella prima fase del lavoro ha rappresentato il grimaldello della comparazione e della riproducibilità così in questa seconda fase del lavoro l'analisi delle fonti iconografiche pur nella sua oggettiva difficoltà di lettura è un percorso di ricerca che tende a definire meglio il complesso del patrimonio storico legato alla civiltà del lavoro .
Proprio su questa base è stato fatto un tentativo per l'alta val Metauro da Fermignano a Borgo Pace e per il territorio che comprende anche l'area urbinate comprese le municipalità di Petriano e di Montecalvo in Foglia, partendo da un lato dal ricco patrimonio iconografico del territorio e dall'altro da alcune raccolte di materiali conservate dalle amministrazioni comunali di Borgo Pace, Sant'Angelo in Vado e Urbania con l'obiettivo di valorizzarle ulteriormente sia approfondendone le implicazioni antropologiche sia realizzando una analisi scientifica attraverso la scheda di questi beni storici.
Quali sono i punti di partenza per raccogliere documenti iconografici sull'attrezzatura del lavoro contadino e artigianale?
Innanzitutto il fatto che nella pittura dell'età moderna lo sfondo di molti episodi della storia mitologica, della storia sacra così come delle antiche storie delle civiltà classiche riportava spesso non solo paesaggi inventati, ma anche scene di genere che rappresentavano o diversi momenti di vita sociale tra cui anche rapidi schizzi di attività rurali artigianali o commerciali.
I santi poi avevano dei loro oggetti simboli o erano colti come nel caso di San Giuseppe nell'esercizio della propria professione, professione di cui erano diventati i protettori.
Recupero di fondi fotografici demoantropologici di interesse nazionale ed europeo (Ugo Pellis, Paul Scheuermeier);
Il recupero dei fondi fotografici al pari della raccolta delle tradizionali attrezzature ha occupato parecchie persone con il limite che a differenza delle società urbane il mondo rurale conosce con molto ritardo il mezzo fotografico.
Spesso poi sono le classi alte che fotografano il lavoro rurale ed artigianale quasi come una curiosità antropologica senza però impiegare il rigore dell'antropologo.
Comunque tutti i centri dell'area della Comunità hanno, chi più chi meno, raccolto materiale fotografico relativo soprattutto alla prima metà del Novecento.
Difficilmente ci si è potuti spingere più in dietro per la scarsa diffusione della fotografia negli ultimi decenni dell'Ottocento.
Facendo un primo rapido elenco posseggono raccolte pubbliche di fotografie le Pro Loco di Fermignano e Mercatello sul Metauro, il Foto Club di Urbino, in fine la raccolta fotografica della Biblioteca Comunale di Urbania.
In queste foto un po' come nei quadri del Sei Settecento lo sfondo è spesso fornito dal paesaggio rurale che come nei quadri offre occasioni di lettura per chi studia la cultura materiale.
Diversamente a metà del XX secolo la fotografia diventa documento più diffuso e un po' come la produzione artistica si sofferma con diverse motivazioni sul mondo del lavoro.
Le fotografie là dove rappresentano attrezzi oggetti d'uso macchine agricole forniscono al pari dei reperti oggetti a cui si può applicare , anche se molto sommariamente, un trattamento di schedatura, attivando quei meccanismi metodologici di analogia, similitudine, deduzione e comparazione che consentono di arricchire le nozioni di base sull'attrezzatura.
La ristrettezza delle basi di studio e la difficoltà operativa di raccogliere presso i privati ulteriore materiale fotografico della cui esistenza per altro si è certi, sulla base di esperienze di ricerche sviluppate dalle scuole presso le famiglie degli studenti, o di sporadiche donazioni spontanee, ha spinto il gruppo di ricerca ad operare ricognizioni presso fondi fotografici demoantropologici dove sulla base degli inventari è stato possibile individuare e acquisire immagini fotografiche di lavori rurali ed artigianali. In particolare ci si è concentrati finanziariamente e concettualmente sul materiale fotografico prodotto nella provincia di Pesaro e Urbino nel corso di due fondamentali ricerche demoantropologiche: la ricognizione di Ugo Pellis e la ricognizione di Paul Scheuermeier, entrambe avvenute nel corso degli anni venti del Novecento.
Queste inedite immagini sono interessanti perché essendo state scattate da demoantropologi hanno per obiettivo proprio quello di evidenziare l'attrezzatura di lavoro per permetterne lo studio. Ad esempio la foto di un aratro metterà in evidenza se fermo le diverse parti componenti se in movimento i suoi modi d'uso. Nelle foto d'epoca, a meno che non siano foto tecniche, la lettura degli strumenti presenta delle notevoli difficoltà perché il fine dell'immagine è un altro e quindi certi importanti particolari possono vedersi e non vedersi.
Al pari dell'iconografia funziona anche in questa sezione il modello operativo trasferibile e riproducibile tenendo conto ovviamente che si limita a poco più di un secolo
Testimonianze orali.
La raccolta di testimonianze orali mira non solo al recupero delle informazioni ergologiche ma vuole anche ricostruire i contesti socio economico e socio politico delle attività in studio. Le testimonianze non sono solo una accorata rievocazione del fare negli anni che hanno preceduto l'industrializzazione, ma sono anche un aggregato di notizie che illuminano le relazioni sociali e le micro strutture economiche nei tempi precedenti la grande trasformazione che ha investito la società italiana negli anni Cinquanta.
L'informatore così chiamano gli antropologi il testimone orale le cui notizie vengono verbalizzate è una componente insostituibile della ricerca e degli studi demoantropologici e dialettologici. Per questo ambito di studi l'informazione si ferma al dato tecnico e solo involontariamente fornisce anche notizie socio economiche e socio politiche. A questa visione forse a volte un po' troppo tecnicistica si sono contrapposti gli studi di storia orale sviluppatisi soprattutto in Inghilterra nella seconda metà del Novecento e approdati in Italia negli anni settanta, dove l'elemento soggettivo viene privilegiato e gli aspetti oggettivi messi tra parentesi con il risultato di allargare l'orizzonte materiale della testimonianza dalla mera applicazione degli oggetti al contesto sociale in cui il testimone ha operato durante la sua vita.
Nel territorio la raccolta di testimonianze orali e la loro verbalizzazione è sempre esistita soprattutto sino a quando i mass-media non hanno interrotto il flusso spontaneo di informazioni da una generazione all'altra. Su questo terreno hanno lavorato le scuole anche se in maniera sporadica , mentre il gruppo di ricerca ha individuato pur quasi fuori tempo massimo alcuni testimoni per le attività artigianali ed industriali (vedi testimonianze in allegato). Per i risultati operativi rimandiamo alla parte sul Museo dell'artigianato di S. Angelo in Vado dove solo grazie al loro intervento è stato possibile classificare più precisamente la specificità di oggetti e strumenti e distinguere la diversità tra mestieri contigui.