Le trasformazioni del bosco alle soglie dell'età contemporanea

Uno scienziato pesarese, Luigi Guidi, delinea nel 1861 il quadro del patrimonio boschivo della provincia di Pesaro e Urbino , non tralasciando di tracciare una precisa fotografia delle trasformazioni che proprio in quegli anni stavano avvenendo e di quelle che da poco si erano concluse.
Stavano scomparendo alcune essenze pregiate come il noce "per il danno che questa pianta cagiona coll'ombra, e per la smania di mettere tutto a coltura" e come l'agrifoglio per il consumo che ne era stato fatto per fabbricare mobili pregiati.
La quercia comune, Quercus robur, arrivava sino ad 800 metri di altezza, mentre il cerro,Quercus cerris, riusciva a superare questa quota. Entrambe le essenze coprivano ancora una parte del territorio boschivo locale; le ghiande prodotte erano destinate ai maiali, ma nelle annate di carestia diventavano un alimento per i contadini più poveri che con la farina di ghianda preparavano il pane. La quercia forniva poi materiale da costruzione sia per il mondo rurale sia per la città che lo impiegava nei cantieri navali e nelle strutture portuali allora in legno.
Il cerro, pur restando ancora molto diffuso aveva dovuto cedere spazio al faggio che formava delle selve impenetrabili. Quest'ultima pianta era alla base della produzione del carbone di legna che veniva esportato un po' dappertutto. Secondo la testimonianza di Luigi Guidi il faggio forniva un materiale di scarso valore che l'artigianato pregiato di solito scartava. Il faggio invece veniva utilizzato dal mondo rurale per costruire attrezzi e minuterie e per impiegarlo in casa come legna da ardere, così come per l'antica produzione del carbone di legna col sistema delle cataste.
La grande novità del soprassuolo ottocentesco era rappresentato dalla massiccia coltivazione del moro o gelso. Essa era stata avviata all'inizio del secolo in concomitanza con lo sviluppo dell'allevamento del baco da seta. Parallelamente al moro negli stessi anni si era diffusa in provincia l'acacia, una pianta che cresceva spontaneamente con grande facilità.
Infine il carpino era comunissimo in tutti i luoghi boschivi della provincia e la sua foglia era un alimento gradito per le pecore per tutte le stagioni; i carpini costituivano un esempio di quei "prati sugli alberi" di cui parlavano gli agronomi a proposito del rapporto tra piante arboree ed allevamento del bestiame.

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