Il "rinascimento" viticolo

La colonizzazione di territori più ampi riportava al centro del sistema colturale l'arbustum gallicum, un antico sistema di coltivazione della vite presumibilmente di origine etrusca, che era già diffuso nell'antichità in Italia centrale e settentrionale. Il vitigno cresceva appoggiandosi ad un "tutore vivo", il sostegno mutava secondo le morfologie del terreno, in collina si utilizzavano i tozzi aceri campestri, gli oppi, mentre in pianura per neutralizzare l'umidità del terreno si preferivano gli svettanti pioppi.
A metà del primo millennio con le invasioni barbariche erano state abbandonate le coltivazioni nelle zone pianeggianti e di fondovalle, ma accuratamente mantenute quelle delle zone collinari e montane sia all'interno dei borghi fortificati, sia all'esterno in siti ben collocati climaticamente e ben esposti ai raggi solari.
In Italia nei secoli successivi sino ad arrivare all'età moderna quando, con la diffusione della mezzadria e dell'appoderamento a case sparse, la viticoltura riprese possesso di buona parte del territorio agrario, si impiantarono dei filari di vite ai bordi dei campi coltivati a cereali: le piantate in tutta la Pianura padana e le alberate nei rilievi appenninici dell'Italia centrale e settentrionale: due sistemi di vitigni che risultavano utilissimi perché "tenendo il prato sugli alberi" nuove risorse affluivano nell'economia di autosussistenza del mondo rurale.

"Si trattava di un sistema di vitigni sostenuti da canne e dalle più disparate essenze arboree; questi impianti risultavano, da un lato, perfetti per le architetture delle ramificazioni dei sostegni arborei e, dall'altro, utilissimi nell'economia di autosussistenza a cui fornivano molteplici risorse.
Gli alberi, che fungevano da sostegno ai tralci della vite, fornivano sia fogliame da usare come alimento per il bestiame quando il foraggio scarseggiava, sia legname da costruzione e da ardere. Infine, a partire dall'età moderna, un certo spazio veniva dato anche ai gelsi, strettamente connessi all'allevamento dei bachi, e alle essenze da frutta, noci, ciliegi, mandorli..., i cui prodotti erano destinati all'alimentazione contadina o alle regalie padronali".


Il contratto mezzadrile, prevalente nelle zone delle piantate e delle alberate, prevedeva clausole che imponevano ai coloni l'obbligo di piantare ogni anno un certo numero di vitigni per assicurare un progressivo miglioramento del podere.

Quali immagini pittoriche illustrano adeguatamente secondo Sereni questi nuovi luoghi rurali, il Giardino degli ulivi di Duccio di Buoninsegna dei primi del XIV secolo e la Marina di Ambrogio Lorenzetti (1285-1348), il maestro della scuola senese che rinnovò la rappresentazione pittorica del paesaggio.

Duccio giardino degli Ulivi
Duccio giardino degli Ulivi

"(...) nel dipinto di Duccio [Giardino degli ulivi] il paesaggio assume ora un'unità che gli è propria, un autonomo rilievo: e gli alberi son divenuti gli elementi di un arboreto reale, nel quale essi non si confondono più con gli arbusti selvatici, ma sono regolarmente potati, e sistemati secondo l'ordine che l'asperità del terreno roccioso consente.

Lorenzetti - Marina
Lorenzetti - Marina

(...), come quella che appare nella Marina del Lorenzetti. Da un borgo sito in riva al mare, la distesa delle terre a coltura si allarga per la pianura, verso l'interno. Ma anche sulla pendice scoscesa della collina denudata, ormai, le colture erbacee ed arboree sono arrivate ad inerpicarsi, per l'iniziativa ardita di un singolo. Per quanto lo consente il difficile rilievo collinare, l'appezzamento dissodato è stato sistemato in forme regolari, che all'erosione delle acque oppongono non solo una difesa sul loro perimetro, ma quella di due fossi acquaioli o scoline trasversali (o si tratta già di una riduzione dell'appezzamento in ciglioni?)" .

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