La presente scheda è tratta dal volume: Giovanni Lucerna, Valeria M. Miniati, Giorgio Pedrocco, -Uomini e campagne tra il Montefeltro e il mare-, Metauro Edizioni, Fossombrone, 2004. All’interno del volume fotografie di Paul Scheuermeier (AIS) e Ugo Pellis (ALI). La trebbiatrice in pietra dell'immagine è conservata presso il Museo di Storia dell'Agricoltura e dell'Artigianato di Urbania.
La trebbiatrice in pietra (nota 1- V. S. Agata Feltria, foto n. 967.-), èl lastrón (Parchiule di Borgo Pace), era costituita da un’unica e massiccia (1) lastra di arenaria, di forma triangolare, che era (2) forata nella parte anteriore e scanalata alla base del lato operativo, ed era utilizzata per trebbiare il grano e i legumi. Veniva attaccata dietro a una coppia di buoi, e a volta anche dietro un biroccio (nota 2 - Cfr. Pedrocco, Giorgio, Musei Partecipati, cit., p.93, 94.-), tramite una (3) corta bure, che era a sua volta fissata alla pietra tramite un (4) piolo conficcato nel suo foro anteriore. Il contadino, durante la trebbiatura, vi saliva sopra tenendosi in equilibrio tramite un (5) sostegno di legno fissato nella bure. La pietra veniva fatta girare sopra i cereali o sopra i legumi, già disposti nell’aia, finché non si riteneva terminata la fase di separazione delle cariossidi o dei baccelli dal seme. Quando si usava la pietra il terreno dell’aia doveva essere adeguatamente preparato e il grano doveva essere disposto in modo che una parte delle spighe fossero coperte dai gambi di altre spighe e così via in cerchio in modo che lo sgranellamento avvenisse al meglio, per non schiacciare i semi. L’immagine di Scheuermeier, pur essendo stata ricostruita ad hoc, è importante perché riprende il funzionamento di questo strumento definito dallo stesso etnografo desueto, già all’epoca dell’inchiesta, ma che da testimonianze raccolte nell’alta val Metauro continuò ad essere usato, come già detto, per la trebbiatura dei legumi fino agli anni 60 del secolo scorso.